mercoledì 21 dicembre 2011

PRETTY THINGS, THE

   Se i Rolling Stones sono stati la faccia sporca dei sixties britannici, i Pretty Things, a discapito del nome (ispirato da un brano di Bo Diddley), sono stati di sicuro quella totalmente impresentabile. La loro visione musicale è molto vicina a quella delle pietre rotolanti tanto da farli emergere ad inizio carriera come una delle band di punta del movimento r & b britannico pur mai raggiungendo uno stabile e duraturo successo. Nel loro secondo periodo, di breve durata, incorporano al contrario in modo più convincente rispetto ai loro più celebri epigoni, elementi lisergici che li porteranno ad essere uno dei gruppi fondamentali dell’underground psichedelico inglese per poi concludere la carriera a metà anni ’70 con album di sempre più discutibile valore artistico.
    La storia dei Pretty Things vede la sua nascita proprio da una costola dei Rolling Stones. Dick Taylor, allora bassista del gruppo, decide di formare un’altra band e dedicarsi allo strumento da lui prediletto: la chitarra. A creare questa nuova band lo aiutano il compagno di scuola Phil May alla voce, Brian Pendleton alla chitarra ritmica, John Stax al basso, ai quali si avvicenderà una lunga schiera di batteristi.

1965. THE PRETTY THINGS


    L’impatto sonoro dei primi singoli è molto ruvido e segue la via tracciata dagli Stones nel medesimo periodo. “Rosalyn” è l’esordio dell’estate del ‘64, un rhythm & blues che percorre i canoni più classici con un’irruenza raramente ascoltata in quel periodo in Inghilterra. Della stessa matrice è “Don’t Bring Me Down”, secondo singolo che mantiene salda la loro fama di band devastatrice di classici blues.  Il disco d’esordio viaggia sugli stessi territori. Per costruzione è molto vicino al pari ruolo dei Rolling Stones, per resa sonora ne è invece una positiva esasperazione. Le chitarre di Taylor sono sempre portate agli estremi, come dimostrato dalle apripista “Roadrunner” e “Judment Day”, e la voce di May raggiunge spesso il suo punto di rottura, a volte anche oltrepassandolo come nella già citata “Roadrunner”, nella più canonica “Mama, Keep Your Big Mouth Shut” o in “Honey, I Need”, anche pubblicata a parte, dove è da sottolineare il lavoro martellante della sezione ritmica che in quel periodo vede alla batteria Viv Prince. Il disco è una diretta conseguente di quello dei cugini Stones e prosegue una destrutturazione sonora del blues che, attraverso costanti evoluzioni, porterà alla nascita dell’hard rock britannico.

1965. GET THE PICTURE?


    I singoli del 1965 proseguono nella stessa direzione evitando di formalizzare eccessivamente il suono. Se “Midnight To Six Man” è una versione più abbordabile del loro r & b, “Come See Me” (come il suo b side “£SD”) per irruenza spalleggia vittoriosamente con i primi 45 giri di gruppi mod del periodo come Who e Small Faces: il basso è una macchina scavatrice, le chitarre sono in costante battere, la voce è solo un suono rauco tra le rumorosità degli altri strumenti. Il secondo disco è premiato da una migliore registrazione rispetto al precedente ma i brani distruttivi comunque non mancano. “Buzz The Jerk” è un potente garage blues, così come le successive “Get The Picture?”, “Can’t Stand The Pain” e “We’ll Play House”. Più meditativi sono i blues “Rainin’ In My Hear”, “Cry To Me” e infine “London Town” che allarga lo spettro sonoro ad un country iper riverberato.

1967. EMOTIONS

   La decadenza del movimento r & b porta una fondamentale mutazione anche nel suono dei Pretty Things. Tra il ’66 e il ’67, la band incorpora elementi più inglesizzanti e si avvicina ad una concezione musicale non distante da quella di Ray Davies. A dimostrazione della stima per il cantante dei Kinks la band pubblica a fine ’66 la cover di “A House In The Country”. Con Emotions il distacco dai lavori precedenti è netto, anche per un sensibile cambio di formazione con i nuovi arrivati Jon Povery e Wally Waller a sostituire i dimissionari Pendleton e Stax alla chitarra e al basso rispettivamente. Il lotto di brani raccoglie un pop infarcito di arrangiamenti che sfiorano in molti casi inutili barocchismi. Il disco è più nella vena di un obbligo contrattuale che di una produzione artistica. Il gruppo, infatti, non è neppure consultato dalla casa discografica per le sovraincisioni delle sezioni di fiati e di altri strumenti ormai di canonica moda nella stagione psichedelica. Il disco, pur non essendo affatto completamente negativo, si pone in un punto d’intersecazione con risultati alterni tra i lavori dei Kinks, le recenti evoluzioni cockney degli Small Faces e quello che produrranno fra qualche mese i Love con lo stupendo Forever Changes. Se “Death Of A Socialite”, “Bright Lights Of The City” e il singolo “Children” sono delle buone filastrocche acide, “The Sun” e “House Of Ten” risultano sgraziate e sovraprodotte. Riassunto di quest’era di transizione è il brano pubblicato a parte “Progress” che concentra in se gli aspetti più interessanti dell’album: la voce volutamente fuori contesto di May affogata negli onnipresenti arrangiamenti di fiati.

1968. S.F. SORROW


    La fine dell’anno e il cambio di casa discografica ci consegna a sorpresa un nuovo gruppo. La band, completamente sdoganatasi dal rhythm & blues degli esordi e libera di esprimere tutto il suo potenziale, inanella in un anno un album e una serie di singoli fondamentali per la stagione psichedelica inglese. A fare da traghettatore è il nuovo produttore Norman Smith, già in cabina di regia per i Pink Floyd, vero sesto membro aggiunto del gruppo che riesce a intravedere nell’oscura band delle insperate nuove capacità. “Defecting Grey” è il primo capolavoro di questo periodo. Il brano è un cerchio sonoro in costante mutamento senza centro definito. Da un tranquillo incipit acustico veniamo sbalzati in dissonanti pulsioni orientali che ci trasportano nel garage di una punk band ante litteram. Il tutto potrebbe ripetersi all’infinito senza soluzione di sorta. Del medesimo valore è il secondo singolo di questo periodo: “Talkin’ About The Good Times” / “Walking Through My Dreams” presenta nel primo lato una psicotica marcia condita da sitar e mellotron e nel secondo un decadente viaggio onirico accostabile ai coevi trip dei Tomorrow. S.F. Sorrow è il compimento di questo percorso. È considerata per agiografia storica la prima rock opera della musica inglese, anticipatrice di qualche mese della ben più celebre Tommy degli Who, nonché il punto più alto raggiunto dall’underground psichedelico inglese al pari degli esordi di Pink Floyd e Tomorrow. La sinergia tra i musicisti raggiunge l’apice grazie anche alla breve ma importante collaborazione col fenomenale Twink alla batteria (non per niente appena dimissionario dai Tomorrow). I brani a risaltare sono sia quelli di più chiara ispirazione lisergica come “Bracelets Of Fingers”, “Baron Saturday” e “Trust”, sia quelli di matrice folk “Private Sorrow” e “The Journey”, che quelli prettamente hard rock come espresso dalle dissonanze armoniche di “Balloon Burning” e nella splendida “Old Man Going” dove è difficile non percepire almeno alcuni passaggi di “Pinball Wizard”. Il tutto è miscelato alla perfezione nel brano d’apertura “S.F. Sorrow Is Born” e in “She Says Good Morning”. Il mood generale è avvolto da un pessimismo cosmico nella vita del protagonista Stephan F. Sorrow che farà da matrice a molti personaggi fittizi del rock da lì a venire come il Tommy della già citata omonima opera, Rael di The Lamb Lies Down On Broadway e il Pink di The Wall. Nello stesso periodo il gruppo (con lo pseudonimo di Electric Banana) si cimenta in curiose colonne sonore di valore equivalente ai mediocri film che accompagnano (Electric Banana, 1967; More Electric Banana, 1968; Even More Elecric Banana, 1969; Hot Licks, 1970).

1970. PARACHUTE


    Chiusa formalmente la stagione psichedelica, i Pretty Things ne rimangono aggrappati con le unghie con il quinto album Parachute. Nonostante le importanti dimissioni del fondatore Dick Taylor e le scelte stilistiche ampiamente superate, la band riesce a mantenersi su livelli discreti. Il disco ricalca il lavoro precedente solo negli aspetti più accomodanti facendoli di molto avvicinare come approccio musicale ai Beatles di fine carriera (“The Good Mr. Square”, “She Was Tall, She Was High”, “She’s A Lover” e “What’s The Use”), lasciando completamente da parte gli avventurosi viaggi più eterodossi che avevano fatto di S.F. Sorrow uno dei capolavori dell’Inghilterra psichedelica. Gli aspetti più dissacranti della loro musica sono ormai quasi completamente scomparsi ed affiorano solo in alcuni passaggi minori come “Cries From The Midnight Circus”, “Miss Fay Regrets” e il finale di “Sickle Clowns”. Di maggior valore sono i brani pubblicati a parte: “October 26” ricalca fedelmente gli stilemi del disco, migliori invece sono le più spinte “Blue Serge Blues”, “Stone Cold” e “Stone Hearted Mama” che riprendono in parte lo stile della rock opera precedente. Parachute, nonostante i suoi difetti, risulta ancora una buon album posto a chiusura della parte più interessante della carriera del gruppo.

1972. FREEWAY MADNESS


    Le piccole dosi di banalità che sono iniziate ad intravedersi in Parachute prendono completamente il sopravvento con Freeway Madness, un disco così innocuo che risulta difficile pensarlo accostato allo stesso nome che ha prodotto tali lavori fino a qualche anno prima. La pazzia suggerita dal titolo non affiora in alcun brano, all’opposto tutto pare una calcolata ed inutile messa in scena di pop da classifica. Le carte sono tutte scoperte già dall’iniziale “Love Is Good”, una ballata che scema in un interminabile sing-a-long finale che scimmiotta quello di “Hey Jude” e dalla successiva “Havana Bound” dove al posto delle sensazioni melodiche troviamo un ridicolo hard rock. Un (piccolo) gradino sopra si trovano “Peter” e “Rip Off Train” che si avvicinano ai Beatles di George Harrison. Anche il country ed il blues riescono ad essere malamente snaturati come dimostrato da “Country Road”, “Allnight Sailor” e dalla conclusiva “Another Bowl”.

1974. SILK TORPEDO


    Silk Torpedo è null’altro che una riproposizione del lavoro precedente facendolo addirittura avvicinare in alcuni passaggi ad una futile visione del glam rock del periodo. Unici brani a valorizzare, di poco, l’album sono le divagazioni strumentali di “L.A.N.T.A.” e la lunga “Singapore Silk Torpedo”. Il valore del disco è racchiuso nell’immagine di copertina: finte e posticcie curve di una sinuosa pin up accomodata su quella che una volta fu la potenza sonora da bombardiere dei Pretty Things, il tutto è pura chirurgia plastica musicale.

1976. SAVAGE EYE


    Il discorso non viene corretto di una virgola con l’ultima opera della carriera. I luoghi battuti sono i medesimi del precedente album forse solo interpretati con un briciolo di convinzione e dignità in più. Quello che lascia perplessi è la peculiarità che accomuna i brani degli ultimi tre lavori: l’inutile prolissità delle canzoni non fa altro che aggiungere ridondanza al già effimero valore delle stesse. Non ci è dato sapere se è una risposta al celebre brano dei Rolling Stones appena pubblicato ma una cosa è certa: la loro musica ormai “It Isn’t Rock ‘n’ Roll”. Unica dote del gruppo, ormai completamente nelle mani di May, è l’aver compreso per tempo la propria decadenza sonora e, escludendo sporadiche reunion negli ’80 e nei decenni successivi, l’aver chiuso i battenti della carriera prima di ulteriori cadute di stile.

Discografia Uk

Lp:
1965 – The Pretty Things [**1/2]
1965 – Get The Picture? [**1/2]
1967 – Emotions [**1/2]
1968 – S.F. Sorrow [*****]
1970 – Parachute [***]
1972 – Freeway Madness [*1/2]
1974 – Silk Torpedo [*]
1976 – Savage Eye [*]



Singoli / Ep:
Rosalyn – 1964
Don’t Bring Me Down – 1964
Honey, I Need – 1965
 Cry To Me - 1965
Rainin' In My Heart [Ep] - 1965
Midnight To Six Man – 1966
Come See Me – 1966
A House In The Country – 1966
Children – 1967
Progress – 1967
Defecting Grey – 1967
Talkin’ About The Good Times/Walking Through My Dreams – 1968
Private Sorrow – 1968
The Good Mr. Square – 1970
October 26 – 1971
Stone-Hearted Mama – 1971
Over The Moon – 1972
Havana Bound – 1972
Joey – 1974
I’m Keeping – 1975
Sad Eye – 1976
Tonight – 1976